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ARTURO, A SOLI 18 ANNI ERA UNO "SCHIAVO DI HITLER" - La su fulgida figura viene ricordata oggi, 27 gennaio

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NARDO' - Matricola 101540 nel lager di Neubrandenburg. Allora un numero, oggi un esempio ed una testimonianza per migliaia di giovani.
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Arturo, 18 anni, artigliere, “Schiavo di Hitler” matricola 101540 nel lager di Neubrandenburg.

Nostro concittadino, Arturo Carrozza, è uno dei tanti IMI (Internati Militari Italiani), catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e internati nei lager nazisti. In migliaia morirono di fame, malattia, freddo e violenza inaudita. In pochi vi fecero ritorno. Nelle loro testimonianze risuonano le parole di Elie Wiesel: “Chi ascolta un testimone dell’olocausto diventa a sua volta un testimone”.

Una grande storia, ma anche una storia pressoché dimenticata. Tanti i motivi (di carattere politico e sociale, non trascurabili la componente psicologica), che hanno relegato gli IMI (internati militari italiani) al fondo di questa storia che va comunque sempre raccontata. Il tutto, collocato nella seconda guerra mondiale e all’inizio di questa storia con l’armistizio dell’8 settembre 1943 sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate, con tutta una serie di accadimenti: l’epilogo della tragedia italiana, della sconfitta con a fianco le forze nazifasciste in diversi teatri di guerra; Il 25 luglio dello stesso anno, dopo la caduta di Mussolini, il Re conferirà al Maresciallo Badoglio l’incarico di capo del governo. L’Italia è nel caos, immediata la reazione della Germania nazista. Re e Governo precipitosamente lasciano Roma e si rifugiano a Brindisi.

E’ l’inizio della grande controffensiva tedesca verso il “tradimento” dei soldati italiani, in migliaia catturati e deportati in Germania in lager che fungevano da “campi di lavoro”, in condizioni disumane, per le violenze, fatica, malattie, fame che i soldati dovettero sopportare. Restano impressionanti le cifre di queste operazioni: oltre 600mila deportati si rifiutarono di collaborare col nazifascismo ma di questi solo poche decine di migliaia fecero ritorno a casa.

Sono questi gli IMI. La ricerca storica e sociologica che non è mai mancata, ha messo in elenco le principali motivazioni: la fedeltà al giuramento prestato al Re e alla Patria, la consapevolezza che il rifiuto aveva il valore di un plebiscito contro la dittatura fascista; il rifiuto di combattere contro altri italiani impegnati nelle fila della Resistenza e soprattutto il rifiuto di quella guerra di cui avevano visto le tragiche conseguenze.

Pur essendo prigionieri di guerra , vengono definiti IMI per eludere la Convenzione di Ginevra del 1929. Lo scopo è quello di sfruttare la grande forza-lavoro per l’economia del Terzo Reich. Solo a partire dal febbraio 1945 si registra il crollo tedesco su tutta la linea; anche nei lager gli internati avvertono che qualcosa d’importante si sta verificando. In qualche circostanza bastò una radio realizzata alla buona per andare incontro alla speranza. Di lì a breve, la conquista della libertà.

Paradossalmente, difficile fu anche il rientro, con le compromesse istituzioni che vollero dare un sussulto della loro vitalità. Tanti soldati furono sottoposti dalla “Commissione interrogatrice dei militari nazionali reduci dalla Germania e dagli altri territori di altri confini” a un questionario inquisitorio su “Dati riflettenti la posizione personale”. Una vessazione di nessun senso.

E’ questo lo scenario storico in cui si trovò coinvolto Il nostro ARTURO CARROZZA, dopo l’8 settembre, catturato dai tedeschi a Rovereto, in provincia di Trento, dove era giunto da Lecce il 22 agosto e arruolato nel 132°Reggimento Artiglieria Corazzata, Divisione Arieti. Insomma, un soldato come tanti. Aveva appena 18 anni. Nel lager di Neubrandenburg gli fu assegnato il numero 101540 e da quel momento, al pari dei tanti commilitoni, fu sottoposto a ogni angheria. Fu anche uno dei pochi a farvi ritorno. Soltanto in tarda età, sollecitato dalle nipotine Francesca e Laura, volle mettere per iscritto la vita di quel lager. Un racconto-diario “La mia prigionia”, dolorosa ma anche preziosa testimonianza di quegli anni terribili. “Lavoratori civili”, così vennero anche chiamati gli IMU: una lurida menzogna per un progetto di sostanziale annientamento. Lo leggiamo anche nel libro di L.Roso, 1943-45 Diario di prigionia”: Unici compagni nel fatal andare: Il freddo,la fame, la sete”.

A ricordare Arturo, sempre la sua famiglia. La figlia Carmen con le sue nipoti, di recente si sono recate al lager di Neubrandenburg. Per Francesca e Laura un omaggio al loro caro nonno. Un viaggio necessario, il bisogno di ricordare in nome della Memoria e della Pace. Lì con le Autorità del luogo, a commemorare, portando in dono proprio il racconto di Arturo. E tutto, come a voler evocare quanto aveva scritto Bertold Brecht: “Chi non conosce la verità è semplicemente uno stupido. Ma chi la sa, e la chiama bugia, è un criminale”.

P.S. Gli IMI neritini dal 25 aprile 2023 hanno trovato il loro luogo della memoria in una sezione del Museo della Memoria e dell’Accoglienza, a Santa Maria al Bagno, marina di Nardò. Da quest’anno, il 27 gennaio “Giorno della Memoria”, verranno commemorati il sacrificio e il valore della Resistenza senz’armi degli IMI neritini “italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte…” ( art.1 legge n.211 del 20 luglio 2000)

LUIGI NANNI