PDM - Trangugiai un altro sorso di Martini che nelle orecchie mi risuonavano ancora le sue urla scomposte, le sue spinte, la sua mania, ossessiva di controllare, verificare, cercare indizi.
Vivere il rapporto di coppia, nelle formule più elementari, era divenuta una utopia.
Aria, cercavo aria, mentre le distanze, già da tempo, mi tenevano compagnia in quel clima ostile fatto di cultura del sospetto.
L’ultimo dito di martini, in quel tumbler basso, lo sorseggiai cercando di prendere tempo anche perché l’alternativa sarebbe stata quella di tornarmene a casa e quello sarebbe stata l’ultimo dei miei desideri, quella notte.
Mi svegliai presto, quel mattino. Mi svegliai presto perché mi sentivo gli occhi puntati addosso, in quella stanza dove risaltava a meraviglia il color glicine delle mura, date le tapparelle sollevate. Lei era vicino i miei vestiti ed era indaffarata come sempre, indaffarata nella ricerca dell’indizio che mi avrebbe consegnato su due piedi all’immolazione. Cercava minuziosamente, frugando dappertutto, passando con disinvoltura dalla giacca al marsupio, per finire all’analisi delle telefonate effettuate e ricevute. Tralasciava i messaggi per ultimo, quasi come fosse un piatto prelibato con cui sfamarsi.
Lei era gelosa in modo ossessivo e lo era divenuta dopo diversi anni dal nostro matrimonio. Tutto era accaduto con una certa gradualità ed io mi ero ritrovato a vivere una vita “ai domiciliari” senza accorgermi di ciò che stava accadendo.
Io la amavo e non mi pesava
Dopo pranzo, finito di darle una mano a lavare i piatti, le proposi di fare un giro al mare ma lei, spossata per la lunga mattinata in ufficio, mi disse che non se la sentiva. Mi avviai verso la porta, avvisandola che scendevo giù a prendere un caffè al bar. Lei fece finta di nulla ma intanto si spostò verso la camera da letto, aprendo la finestra del balcone che dava sul viottolo retrostante.
La porta del bar era ad un colpo d’occhio.
Sapete, l’amore non ha confini, specie quando ha due occhi verdi che ti spiano piano. Specie quando sai che amarla è un privilegio e tu ne sei il predestinato.
Io sapevo bene che si comportava in quel modo soltanto perché si sentiva insicura. Sapevo bene le colpe che aveva avuto la madre, abbandonandola da piccola in quell’orfanotrofio di periferia, ma cosa potevo farle se non compiacerla nei suoi gesti, nella sua mania?
Scesi le scale e i suoi occhi mi erano sul collo, come fosse il fiato della morte. Il tempo di un caffè, per ovvi motivi, divenne interminabile e quando mi accorsi del tempo trascorso, ritornai sui miei passi in tutta fretta.
Salito le scale vidi la porta era aperta ed i suoi occhi che erano ancora lì, a scrutare il dettaglio, a cercare il capo d’accusa.
Scocciato, la ignorai, scostandola.
Non l’avessi mai fatto: la sua ira esplose di colpo e iniziò a vomitarmi parole senza senso, quasi fossi un criminale. Iniziò ad accusarmi di tutto e arrivò persino a criticarmi per una ragazza che avevo avuto, prima di conoscerla. Ipotizzava complotti e incastrava pezzi di puzzle di una scena senza logica.
Per la prima volta le risposi con tono acido, quasi a volerla ferire, dicendole che quella ragazza sapeva fare l’amore come lei non avrebbe imparato mai.
Mi spinse con forza cercando di trattenermi, urlando a squarciagola -immagino le risa dei vicini-, e io cercavo di dimenarmi come potevo. Poi, con un colpo di reni, riuscì a farmi strada, spingendola indietro. In quell’istante accadde il dramma: lei, inciampando nel tappeto cadde malamente, e lì rimase ferma. La paura di perderla ebbe il sopravvento. Cercai di scuoterla, nel tentativo di farle riprendere i sensi, ma non accadde nulla. Poi scappai in cucina e presi i sali.
Rinvenne in un lasso che a me parve senza tempo. Aprì gli occhi dapprima lentamente, poi riprese a muoversi pur se con fare dolorante.
La gelosia ossessiva nei miei confronti, le faceva perdere il senno.
Ci recammo al pronto soccorso per accertarci che tutto stesse nella norma e il medico le chiese spiegazioni sulla dinamica dell’incidente. Lei mi guardò, ma il suo pensiero era rimasto ancorato alla mia affermazione che poco prima l’aveva ferita, allora disse al medico: ha cercato di uccidermi!