NARDO' - “Salento, lu sule, lu mare, lu jentu”. Con questo slogan abbiamo scelto di caratterizzare la nostra terra, ormai nota ed apprezzata meta turistica in tutta Italia. Noi stessi siamo convinti, crediamo, di vivere in un lembo d’Italia bellissimo, dove quei fattori ambientali hanno creato condizioni ambientali migliori allo stazionamento di popolazioni umane sin da tempi remoti.
Non solo clima e ambiente, ma siamo anche risparmiati dai disastri naturali come alluvioni, terremoti, frane. Non avendo livelli di industrializzazione elevati, non ne abbiamo subito i dannosi effetti.
Sembrerebbe un mezzo paradiso se non fosse che siamo stati messi di fronte, inaspettatamente, ad un dato sanitario che con queste condizioni ideali di sopravvivenza va in stridente contrasto.
In questi giorni si riparla molto di tumori nel Salento, dopo che il Registro dei tumori di Lecce ha diffuso i primi risultati delle indagini statistiche nel periodo 2003-2007 per patologia ed incidenza della malattia sulla popolazione della provincia. I risultati sono stati a dir poco sconcertanti, in quanto pongono la nostra provincia al primo posto in Puglia.
Per la verità, il “male del secolo” non ci coglie molto di sorpresa: la gravità degli esiti, l’estensione e progressione della malattia nel corso degli anni è nozione ormai acquisita, volenti o nolenti, come fenomeno epidemiologico diffuso ovunque. L’uomo della strada, più dell’uomo “tecnologicus” , ha percepito intuitivamente meglio l’esistenza di un nesso molto pericoloso fra le modalità del vivere moderno e la perdita costante del bene assoluto chiamato salute.
Pensavamo (speravamo) che noi meridionali del sud, fossimo un po’ più al sicuro da questa malattia per il semplice fatto di essere convinti che le forze della natura invocate negli slogan di propaganda, veramente esistenti in abbondanza, equivalessero a condizioni ambientali migliori. Eravamo convinti che la scarsissima presenza di industrie pesanti significasse meno inquinamenti. Ma allora, se è vero, come è vero, che non siamo i più inquinati d’Italia i conti non tornano. Qualcuno non ce la racconta giusta. Siccome i numeri sono numeri non opinioni, qualcuno ci deve spiegare come facciamo ad avere noi più casi di tumore degli abitanti dei Tamburi di Taranto, che hanno (avevano) centimetri di polveri nere sul balcone ogni giorno (oltre a tutti i veleni noti sparsi in cielo, in terra e in mare) avendo l’ILVA, l’ENI la CEMENTIR e l’Arsenale militare a due passi. E’ fuori da ogni ragionevole logica.
Le tesi del CNR, che ci dicono che il Salento è sotto l’effetto dei venti dominanti (maestrale e tramontana) portatori dei fumi di Brindisi, Cerano e Taranto, non convincono per niente. Non mi convince affatto che le particelle cancerogene trasportate dai venti da noi inalate, ma a concentrazioni estremamente più basse di quelle respirate dai tarantini, per noi siano più letali. Non convince. Ed infatti l’antica questione delle cause singole nella genesi del cancro, come a qualcuno piacerebbe poter liquidare il problema, è tutt’altro che risolta.
Il caso del Salento è la dimostrazione più chiara e semplice di un modo troppo semplicistico di affrontare il problema delle cause. Anzi, per la verità, di non aver mai affrontato seriamente un indagine “eziopatologica” perché la materia è scottante, molto scottante. Chi volesse farlo dovrebbe chiedersi innanzitutto se esiste nel Salento una qualche singolarità o tipicità locale in qualche modo, più o meno sconosciuto, coinvolta nella genesi di tanti casi di tumore, uscendo dai luoghi comuni sbandierati dai tanti maghi, in realtà poco edotti della materia.
Ad esempio, in una ricerca dell’ARPA Puglia (LATTARULO V. ed al.) si indagava sulla concentrazione di gas radon nelle abitazioni della Regione Puglia. La provincia di Lecce mostrava la maggior concentrazione “indoor” fra tutte le provincie. La cosa era spiegata come l’effetto combinato fra geologia carsica (fessurazione delle rocce) e tipologia della materia prima con cui vengono e venivano costruite le case (muratura autoportante in tufo). Il radon 222 è un isotopo radioattivo della famiglia dell’uranio 238, è un gas naturale che esala dal sottosuolo e si concentra nelle abitazioni scarsamente arieggiate, viene respirato e risulta cancerogeno. Un altro fronte di indagine è quello del monitoraggio delle falde acquifere, da cui proprio il Salento, tramite l’Acquedotto Pugliese è il maggior emungitore di Puglia a scopo potabile e agricolo.
E’ noto infatti che le falde carsiche sono il bacino di raccolta finale di tutto ciò che piove e filtra dall’alto, fra cui i percolati delle famigerate discariche di rifiuti urbani. Detto ciò la faccenda è tutt’altro che risolta. Quotidianamente e costantemente conviviamo con innumerevoli fonti di rischio sanitario. Viviamo letteralmente immersi in un’atmosfera fortemente inquinata da invisibili forze naturali ed artificiali potenzialmente cancerogene. Alle normali radiazioni cosmiche e radiazioni naturali ionizzanti, solari e terrestri classiche, si sono aggiunte nell’ultimo secolo, nuove fonti artificiali, soprattutto di tipo elettromagnetico per telecomunicazioni ad altissima frequenza e potenza. Ingurgitiamo quotidianamente ogni tipo di sostanza artificiale di sintesi chimica sia a scopo alimentare che curativo, senza conoscerne la nocività a lungo termine.
Se solo ci informassimo (informassero) meglio, sapremo, tanto per citare un esempio di largo consumo, che la Cola Cola a grandi dosi è cancerogena (come da varie ricerche scientifiche non diffuse), che i cibi conservati sono ricchi di centinaia di sostanze chimiche (aromi, conservanti, stabilizzanti, coloranti) potenzialmente cancerogene, che l’orto-frutta coltivata con tecniche industriali reca piccole dosi residue di pesticidi, diserbanti e concimi chimici, che le acque alimentari contengono metalli pesanti ecc. ecc..
Ma alla fine mi dà molto più da pensare il grande fumatore di sigarette che campa novantanni e non becca il tumore al polmone. Signori c’è qualcosa che ci sfugge. Ci deve essere dell’altro coinvolto nella comparsa di questa malattia del secolo: il caso del Salento dimostra l’infondatezza della teoria della causa singola dei tumori e che c’è ancora molto da fare. A cominciare dalla cosiddetta prevenzione, dicasi cambiamenti degli stili di vita.
Giampiero Dantoni