NARDO' - Una eredità milionaria contesa, una lite in famiglia che è arrivata sulle scrivanie dei carabinieri di Nardò e dei giudici della Procura di Lecce.
Di mezzo ci sono il notaio che ha raccolto le volontà di una donna quasi novantenne, i testimoni chiamati dall'ufficiale, il fratello presumibilmente danneggiato, il direttore di una banca di Galatina dove sono depositati beni ed averi, i medici dell'ospedale di Nardò chiamati per chiarimenti. Tutti gli attori, insomma, di una storia che vede in ballo proprietà immobiliarie e finanziarie.
La questione vede, al centro della contesa, il lascito milionario dell'anziana parente – una 88enne di Nardò molto facoltosa ma che viveva, da zitella, insieme con gli altri due fratelli in una modesta abitazione e senza particolari lussi – e che sta coinvolgendo in una vasta raccolta di informazioni i militari di Nardò su input del sostituto procuratore di Lecce Emilio Arnesano.
La rete di informative riguarda una moltitudine di persone e solo alla fine della certosina indagine dei carabinieri sarà possibile avere un quadro nitido, dopo le accuse circostanziate lanciate da alcuni parenti. Un anziano fratello convivente, in particolare, che si è sentito danneggiato dalle ultime volontà della cara estinta.
Al centro della questione ci sono innanzitutto le cartelle cliniche: il magistrato, infatti, vuole innanzitutto verificare se è vero che l'anziana sia stato sottoposta, nell'ospedale di Nardò o in altra struttura pubblica, ad accertamenti di carattere psichiatrico che abbiano stabilito la sua reale capacità di intendere e di volere, propedeutiche a qualsiasi espressione libera della propria volontà. Per questo motivo i carabinieri si sono recati più volte negli ambulatori neritini.
Ma la donna è stata ricoverata prima a Tricase, in un reparto di Riabilitazione funzionale del “Panico”. Poi, nel giugno scorso, prima in Geriatria e poi in Lungodegenza a Nardò dove le è stata diagnosticata una forma di disturbo cognitivo abbastanza rilevante e depressione geriatrica che l'ha presto portata al decesso, in circa due settimane. In questo periodo la donna ha ricevuto la visita del notaio al quale avrebbe dettato il suo testamento presumibilmente senza essere in grado di firmarlo. Da ciò la presenza necessaria dei testimoni. In quelle condizioni, se accertate dai medici, poteva la donna esprimere lucidamente i propri intendimenti?
Sotto la lente degli investigatori c'è evidentemente l'atto rogato dal notaio che, assistito da alcuni testimoni (anch'essi ascoltati in questi giorni dai carabinieri della stazione neritina) avrebbe raccolto queste volontà contestate dal fratello che ha fatto ricorso ai propri legali.
Altra questione interessante si nasconde tra i particolari dell'atto stesso che indicherebbe, quale luogo in cui il notaio e i testimoni hanno incontrato l'anziano, una generica “via XXV luglio” senza specificare che ci si trovava in ospedale, al “San Giuseppe Sambiasi”. Insomma, un atto che appare “zoppicante” e che, nelle intenzioni del fratello “tradito”, dev'essere impugnato.