NARDO' - Ancora un intervento sulla questione: "Nella mia qualità di neretino, probabilmente atipico, dovuta essenzialmente al luogo in cui ebbi i natali (centro storico di Nardò), sento il dovere di intervenire nella questione in quanto oggetto involontario ed indiretto di "pedate" che il don Luigi Ciotti vorrebbe rifilare a tutta la città".
La vicenda credo sia nota a tutti e riguarda la scarsa partecipazione di neretini alle giornate di commemorazione della morte per assassinio di Renata Fonte nel lontano 1984. La scarsa reazione dei destinatari di calci in "culo" lascerebbe intendere un qualche complesso di reità avvertito in primo luogo dai rappresentanti delle istituzioni, mentre probabilmente c'è sotto qualcos'altro che nessuno ha voglia o coraggio di far emergere.
Piuttosto credo si preferisca evitare gli attacchi violenti, verbali o non, che subirebbe chi manifesti interesse alla possibilità di voler capire meglio alcuni passaggi oscuri che la storia presenta. Ecco il mutismo comodo ed opportuno, appena squarciato da taluni interventi, che fanno ben capire in che tipo di clima la discussione potrebbe svolgersi. Ci sono alcuni fatti indiscutibili, come l'assassinio nel 1984 di un assessore comunale e la chiusura nelle patrie galere di esecutori materiali e mandanti. Ci sono poi altri fatti per loro natura discutibili in quanto non sanciti da nessuna autorità laica o divina.
Come avviene in qualunque società civile, in linea di principio, la possibilità di cercare "La verità" è ad un livello superiore che "una verità". Purtroppo tutta la storia postuma di Renata, di cui non sono uno studioso e proprio per questo, appare ormai irreparabilmente entrata nel modo del mito che vive e si nutre di alta retorica.
Una figura del genere, che ormai si racconta nei libri, a prescindere dalla persona e dal fatto in sé, è diventata patrimonio culturale per certa politica, che, pertanto, non gradisce e non consente analisi storiche, subito bollate con il marchio di "revisionismo". Come se le certezze facessero la storia, che certa gente confonde con la storiografia. E questo è il primo termine tabù creato dai fabbricanti di miti.
L'altro marchio impresso a questa storia è il termine "mafia". Qui non occorre essere specialista di ermeneutica per chiarire, senza indugi, che non basta ci sia un'associazione criminale fra mandanti ed esecutori materiali del delitto, o corruzione della classe politica finalizzata a loschi affari. Ci deve essere una struttura gerarchica con tradizioni e riti di affiliazione al sodalizio dedito ad ogni sorta di attività fuori legge, che persegue con la violenza delle armi al di fuori dello Stato o in appoggio occulto. Sopravvive nel tempo grazie alla collaborazione con una cospicua fascia di popolazione ed all'omertà della società civile vittima.
Nella fattispecie è fuori dalla realtà, oltre che una forzatura dei fatti, azzardare che la città di Nardò sia, o sia mai stata infetta da organizzazioni mafiose propriamente dette. Né in sede processuale per l'omicidio Fonte si è mai parlato di "sacra corona" o similari organizzazioni pseudo mafiose. L'efferatezza del fatto e l'assassinio di un assessore, non comportano automaticamente la qualifica di omicidio mafioso. Infatti al tempo si parlò in prima istanza di Brigate Rosse.
Infine, l'altro, non ultimo, marchio forzatamente associato a Renata Fonte è quello di "Portoselvaggio", ennesimo termine ricco di significato simbolico. La cronaca giornalistica dice che è stata uccisa perché "era contro la lottizzazione del Parco naturale di Portoselvaggio", ma basta un inquadramento cronologico per escludere questo movente. Quando avvenne l'assassinio (31-03-1984) il parco era già istituito da quattro anni (24-03-1980), il proprietario e richiedente concessione edilizia per Portoselvaggio, barone Angelo Antonio Fumarola, era deceduto l'anno prima (1979) e, per di più, era senza discendenti.
La lottizzazione di Portoselvaggio era già scongiurata e di fatto impossibile. Probabilmente gli interessi illeciti con i quali ella sarebbe venuta in contrasto erano altri e altrove da lì. Dove? Non è dato di sapere, ma è interessante notare che in quei territori oltre il parco, che all'epoca terminava all'altezza della spiaggetta "rinaru", qualcosa si muoveva. Almeno tre grosse lottizzazioni, Cafari, Tramonti (Torre Inserraglio) e Marina dei Corsari, erano in via di sviluppo.
Di questi solo a Torre Inserraglio si è realizzato l'omonimo mega complesso turistico, i Cafari fallirono poco dopo le prime vendite, come i Corsari. Detti territori, interessati dai suddetti progetti di lottizzazione, solo dopo ben 22 anni, nel 2006, sono stati annessi al Parco di Portoselvaggio. La nuova entità nata è l'attuale parco di "Portoselvaggio e Palude del Capitano" (L.R. 6/2006), dove, per un cavillo inserito dal presidente Vendola nella legge, vengono fatti salvi i progetti preesistenti, all'opposto di come avvenne nel 1980 con la L.R. 21/80 del presidente Tarricone.
Anche in questo caso la cronologia serve a mettere un po' d'ordine. Non dovrebbe più aver senso un nesso omicidio Fonte-Parco di Portoselvaggio, sostenuto dalla vulgata del mito Fonte. Detto ciò nulla dovrebbe sminuire la figura dell'assessore Renata Fonte, politico appassionato e mirabilmente combattivo, barbaramente assassinata.
Se, come si vede, in questo, come nei molti misteri italici, da rivedere ce n'è, allora nessuno si può arrogare il diritto di impedire chiarimenti sostenuti da fatti concreti. Affinché una verità non rimanga alla storia come La verità.
Da parte mia, pertanto, le pedate vanno restituite al mittente, unitamente al marchio infamante di Nardò città mafiosa, nonchè decorata con la medaglia d'oro al valor civile. Con buona pace di chi su questa storia ci marcia fiero.
Gianpiero Dantoni