TARANTO e MANDURIA: DOLORE e VERGOGNA
A quattro passi da casa nostra. Taranto e Manduria: la prima, Taranto (la città dell’ex ILVA e di tante altre cose) e Manduria, popoloso centro, grande quanto Nardò, e con uno dei maggiori depositi bancari di Puglia. Città a noi così vicine (nel senso della distanza) e non riuscire nemmeno a vedere bene quanto accade in giro, per ricordare a noi stessi che è pericoloso distrarsi o far finta di niente. Beninteso, non è una chiamata di correo, ma davvero ci sono notizie che non ci dovrebbero far dormire la notte e invece correre subito ai ripari. L’incubo in agguato.
Per quanto riguarda Taranto potremmo essere vicini alla svolta irreversibile, nel senso che oggi o domani (meglio oggi) bisognerà parlare chiaramente di chiusura del mostro-Ilva. Per la semplice ragione (suffragata da indagini a catena e statistiche impietose), che quello stabilimento ha devastato letteralmente la città e non solo, con una scia di morti causati da condizioni ambientali e di vita inaccettabili. Per parlare chiaro, una continua disputa con la morte. La città è da tempo spaccata: in tanti lottano per la chiusura immediata (in testa il valoroso sindaco Melucci) e tanti altri a non essere d’accordo ( e si può anche rispettare il loro pensiero), ma soltanto perché hanno bisogno di lavorare, sia pure nelle peggiori condizioni possibili. Una scelta disperata, consapevole, pur di riuscire a portare a casa un salario.
Il caso-Ilva è troppo noto per rievocarne la storia. Utile, anzi di più, aggiornare su quanto oggi succede. Chi conosce l’Ona? Si tratta dell’osservatorio nazionale amianto e qui davvero la paura si materializza, avendo l’indagine registrato fra i lavoratori il 500% (!) di casi di cancro in più rispetto alla popolazione generale della città non impegnata nel siderurgico. E sempre l’Ona ha rilevato un’incidenza tumorale superiore al 50% anche negli impiegati dello stabilimento, vale a dire quella parte esposta soltanto in modo indiretto ai veleni.
Sono proprio le cifre dell’amianto ad essere terribili: 121 morti in città per mesotelioma tra il 2006 e il 2011 che rappresentano la metà di quelli censiti nell’intera Puglia ( e oltre 5mila i morti in regione tra il 1993 e il 2015). Si tratta della tremenda malattia, incurabile, che ha un periodo di incubazione di oltre trent’anni! Dati spaventosi che uniti a tutte le altre affezioni soprattutto bronchiali che riguardano migliaia di bambini (conseguenza dell’altro incubo, il “wind-day”-giornata con vento- quando la città viene letteralmente coperta da uno sottile strato di polvere che si alza dai parchi minerari), dovranno trovarci compatti e pronti nella decisione di chiudere lo stabilimento. Pur con tutti i complessi problemi che si dovranno affrontare e risolvere. Lavoro sì, ma senza rischiare di morire!
E ora un salto a Manduria, città sciolta per mafia ma anche notevole centro artistico. E in ogni caso, tutto ciò non serve né basta per spiegare il tragico epilogo di un pensionato, Antonio Stano, che per anni è stato vessato, picchiato ( con pietre gli spaccarono la testa) e forse ucciso dalla banda di una ventina di ragazzini (!?) di quattordici, quindici e sedici anni; persino due maggiorenni. Erano “gli orfanelli” del gruppo WhatsApp.
Il grave fatto non avveniva in campagna o strada di periferia, ma in pieno centro. Tutti sapevano ma non hanno alzato un dito. Il pensionato non esisteva per i Servizi Sociali (sic!) né per il Servizio di Igiene Mentale. L’unica denuncia ha avuto un tardivo seguito e persino l’intervento del Vescovo verso le famiglie (!) dei ragazzini fu ignorato. Nessuno si era mai occupato di lui, lasciato in balìa di una violenza inaudita esercitata da ragazzini forse abbandonati dalle loro stesse famiglie. Ed ora, tutto un pianto di coccodrillo, scuse di qua e scuse di là , frutto di quell’egoismo di cui spesso ci abbeveriamo e che di fronte a episodi come quello di Manduria, ci fa sempre dire: a) questi non sono fatti nostri b) sono cose che non ci riguardano c) non andiamo a cercarci rogne. Se è così, proviamo almeno il brivido della vergogna.
LUIGI NANNI