NARDO' - Intervento del Sindaco Marcello Risi al 69° anniversario della Liberazione.
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Autorità, concittadine e concittadini,
vi invito a visitare una mostra molto bella, allestita presso la Scuola Media di Via XX Settembre, al terzo Polo Comprensivo. Troverete testimonianze, documenti, scritti dell'Avv. Lelè Ingusci, in occasione dell'intitolazione all'Avv. Ingusci dell'Istituto.
Decisione che salutiamo con l'orgoglio di appartenere ad una Città che nelle sue scuole, dove giorno dopo giorno si semina con impegno e fatica il futuro della nostra comunità, si richiama con passione ai valori che contano. Sono passati 23 anni dalla sua scomparsa. E' giustamente ricordato come una delle più coerenti personalità repubblicane e antifasciste. Di quel tipo di uomini che non si piegano, che affermano le proprie idee senza paura, che credono nella libertà, che non sono disposti a scambiarla con nulla la propria libertà. Cosa rimane ad un uomo se perde la libertà?
Alla mostra troverete i suoi scritti, il racconto delle galere fasciste, la toccante orazione che il suo amico Giovanni Spadolini, capo del governo dal giugno 1981 al dicembre 1982, gli dedicò, a Nardò, nel 1991, l'amore grande per la sua Città e per la sua donna.
Fu tra i pochi antifascisti del Salento che seppero vivere con coerenza, fino all'ultimo, le loro idee. La cultura e gli ideali, quando si fondono, danno sempre tanto coraggio.
Fu arrestato nel 1926 perché non si era piegato al regime e fu deferito al Tribunale Speciale con accuse ridicole, pensate un po': "incitamento all'odio per le varie classi sociali ed eccitamento alla guerra civile". Lui che si distingueva per la mitezza e per il temperamento da uomo buono. Ma le dittature, quando devono mettere a tacere gli oppositori più sgraditi, che spesso sono i più intelligenti, sanno essere, oltre che tanto crudeli, anche incredibilmente ricche di fantasia.
Nel 1944, un anno prima della nomina di Pantaleo Ingusci a commissario prefettizio, su designazione del Comitato di Liberazione, un giovane partigiano di Nardò perdeva la vita a oltre mille chilometri da casa.
Ricorre quest'anno il 70° anniversario della sua morte. Era il 31 marzo del 1944, Giuseppe Carrino, carabiniere, aveva appena 21 anni. L'8 settembre del 1943, data dell'armistizio, si trovava in Piemonte. Era praticamente impossibile fare ritorno a casa, le comunicazioni fra nord e sud erano completamente interrotte, le truppe militari italiane allo sbando.
Molti giovani si sorpresero a scegliere, in pochissimo tempo, da quale parte schierarsi, da quale parte combattere, da quale parte servire l'Italia.
Carrino andò a costituire con altri ragazzi pieni di coraggio e di passione un gruppo di partigiani fra i più attivi nel Canavese, nel paese di Feletto, comune di poco più di 2.000 abitanti, medaglia di bronzo al valore militare per l'attività partigiana.
Feletto si schierò compatta contro i nazifascisti e pagò con una devastazione crudele, un incendio terribile ad opera dei nazisti, la propria scelta di campo.
Ci sono stato alcuni anni fa, da amministratore. E voglio ringraziare pubblicamente il nostro concittadino Gino Balducci che collaborò generosamente all'organizzazione di quella visita.
Era doveroso ripercorrere il viaggio del nostro partigiano, portare l'omaggio della nostra comunità sui luoghi dove aveva combattuto, sul prato dove era caduto.
La morte, come spesso accade, arriva quando non te l'aspetti, anche se l'hai messa nel conto. E Carrino non se l'aspettava proprio quella mattina.
Poche settimane prima aveva preso parte ad una delle più spettacolari azioni partigiane di quei giorni.
Il 2 marzo 1944 un battaglione di camicie nere della Guardia Nazionale Repubblicana si era insediato a Cuorgnè, a pochi chilometri da Feletto, e aveva compiuto un rastrellamento a Pont. Nella notte erano stati catturati dieci partigiani: tre di essi, feriti, furono condotti all'ospedale di Cuorgné.
Ma pochi giorni dopo il gruppo di partigiani di cui faceva parte Carrino, eludendo i posti di blocco dei nazisti e dei fascisti, penetrò nell'ospedale e liberò i feriti catturando i piantoni di guardia delle camicie nere. Un'azione che apparve eclatante, molto coraggiosa, brillante e che alimentò in tutta valle la fama del gruppo nel quale combatteva Carrino.
Ma la morte arrivò a gelargli ogni passione dopo poche settimane.
Doveva essere un'azione senza troppi rischi. Bisognava recarsi presso le miniere della Fiat di Traversella per prelevare dinamite, olio, micce e della benzina indispensabile per le azioni del gruppo.
Ci andarono il 30 marzo ma non riuscirono a caricare tutto il materiale e decisero così di ritornare il giorno dopo. Non si accorsero, purtroppo, che una spia aveva notato i loro movimenti. Li conosceva, perché era una ostetrica del luogo, molto nota. E corse ad avvertire il prefetto fascista Pietro Mancinelli, molto noto anche per aver organizzato, dopo l'otto settembre, una spietata caccia a tutti gli ebrei presenti nella zona.
I nazifascisti organizzarono un'imboscata in località Spinasse (a Drusacco).
Il gruppo di partigiani fu mitragliato a freddo da centinaia di raffiche provenienti da più parti. Il comandante "Diavolo nero", al volante del camion, gravemente ferito, riuscì a fuggire. Giuseppe Carrino morì accanto a due giovani partigiani di Feletto, Michele Cena, 20 anni e Giovanni Battista Castelletto, 27 anni. Morì lì, nei pressi del piccolo ponte di Trausella.
Un altro partigiano Anselmo Audagna, 20 anni, venne, invece, catturato e fucilato il giorno seguente a Melle (Cuneo).
Morì in un grande prato verde. E' rimasto come allora quel prato. L'erba bassa, la rugiada della mattina, gli odori della valle. E ora c'è anche un piccolo cippo a ricordo di quel sacrificio. E ogni anno un gruppo di felettesi si reca su quel cippo per ricordare quei giovani partigiani.
La foto di Carrino è appesa al muro dell'aula consiliare di Feletto. Non me l'aspettavo. Rimasi sorpreso per questo. "A Feletto lo consideriamo da sempre un nostro caduto", mi spiegarono.
Frammenti di vita della nostra Città di cui dobbiamo andare orgogliosi. La nostra Città che in quei giorni, fra le Cenate, Mondonuovo e S. Maria al Bagno, nel campo di accoglienza degli alleati, dava rifugio a migliaia di persone sfuggite alla tragedia della guerra e allo sterminio dell'Olocausto. Un'altra grande gloriosa pagina della storia della nostra Città. Qui i nostri concittadini vivevano una straordinaria stagione di solidarietà e di speranza, premiata dalla Presidenza della Repubblica con la medaglia d'oro al merito civile. Nel Canavese, in Piemonte, un figlio della nostra Nardò, contribuiva con il suo sacrificio al conferimento della medaglia di bronzo al valore militare per l'attività partigiana al comune di Feletto. In queste vicende c'è la grandezza della nostra città. La forza del nostro popolo, le passioni più nobili della nostra comunità. Care concittadine e concittadini, è la storia della nostra Città, è la storia della nostra gente.
Domenica scorsa, il giorno di Pasqua, è venuto a mancare, nella vicina Martano, a 92 anni, il partigiano leccese Salvatore Sicuro, che sempre nel 1944, partecipò alla costituzione di una compagnia partigiana aggregata alla "Trecia Prekormorska Brigada" (Terza Brigata d'Oltremare), in Dalmazia. Studioso e glottologo, lo ricordiamo rendendo omaggio alla sua instancabile testimonianza degli ideali della libertà e della democrazia.
"I valori e i meriti della Resistenza, del movimento partigiano, dei militari schieratisi nelle file della lotta di Liberazione e delle risorte forze Armate italiane, restano incancellabili", ha affermato questa mattina a Roma, davanti all'Altare della patria, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
I protagonisti di quelle lotte se ne vanno. D'ora in poi la resistenza la potranno raccontare solo coloro che non l'hanno vissuta. Tocca a noi. E sarà più dura senza i protagonisti di quella stagione, senza le loro testimonianze, senza la loro passione, senza le loro cicatrici, senza le loro rughe, senza il loro coraggio. Ma d'ora in poi tocca a noi. E abbiamo il dovere di mostrarci degni, nella nostra attività di ogni giorno, dei princìpi e degli ideali del 25 Aprile. Tocca a noi. Figli di Lelé Ingusci e figli di questa terra che con il garbo e i ricami delle sue piazze, con i colori e i sapori delle sue campagne, con l'aria di mare che scollina fra i ginepri e i lentischi di Portoselvaggio ci rinnova ogni giorno il profumo della libertà.
Viva il 25 Aprile. Viva Nardò. Viva l'Italia.