NARDO' - Solo perché direttamente chiamato in causa, mi permetto di intervenire ancora una volta su Renata Fonte.
Al caro Maurizio Maccagnano, che ringrazio per le sue parole di stima e per il ricordo ancora vivo di un certo tipo di insegnamento della storia, mi permetto di sottolineare tre aspetti.
Non si tratta di un mio invito al revisionismo (gli ricordo, comunque, che la storia è una scienza che si costruisce con i documenti, la cui continua scoperta può far cambiare/revisionare tappe in precedenza raggiunte), bensì alla ricostruzione della storia di Renata Fonte, fino ad oggi declamata e tramandata, al di fuori di fonti pur esistenti e alla portata di tutti.
Non si tratta di difesa di nessuna epoca e di nessuna classe dirigente (che poi sarebbe la Dc), con la quale, guarda caso, Renata Fonte nel 1982, appena eletta consigliera comunale, collaborò come assessora e ritornò, dopo due mesi di intervello e di aspre polemiche, sempre da assessora a collaborare in un Dc-Pri-Pli, ponendosi contro il Psi, insieme ai cui esponenti, in precedenza, si era dimessa dalla maggioranza, costituita dalla Dc-Psi-Pri-Pli. Se la Dc era «mafiosa» e/o protettrice di speculatori occulti e non, perché Renata Fonte tornò a collaborare con questa nell'Amministrazione comunale e perché, invece di tornare a collaborare, non denunziò il malaffare né prima, né durante, né dopo?
E le altre forze politiche, i sindacati, le associazioni e tutti gli organismi presenti a Nardò perché non denunziarono il malaffare e la mafiosità della Dc? Per Portoselvaggio o per altro territorio puntato dalla speculazione?
Tutti in riga nel silenzio, omettendo, a cominciare da Renata Fonte, di compiere il proprio dovere della denunzia pubblica e giudiziaria. Può essere stata tale Nardò? Cioè omertosa? Nardò trovi il coraggio di contestare questa nefanda immagine, che ad ogni costo le si vuole attribuire senza alcun dato di fatto... almeno fino a questo momento.
Il mio insegnamento di storia si estrinsecava attraverso l'analisi critica delle fonti e l'individuazione della contestualità degli eventi, richiamando, soprattutto per la storia locale, all'esame, tra l'altro, attento e non acritico, dei documenti, soprattutto delle fonti orali, al di fuori di quanto si dicesse, si tramandasse e, a volte, si fosse scritto anche su testi scolastici e su altri libri.
Non si tratta -ed è il terzo aspetto- di sottovalutare tutti i personaggi e gli organismi, che hanno riconosciuto l'omicidio come mafioso (mi sembra che la Magistratura abbia individuato i mandanti e gli esecutori senza dire di quale mafia o di clan mafioso facessero parte), ma solo di chiedere a «Libera», nonché a «Portoselvaggio Terra nostra» e, ora, anche ai menzionati «professionisti» documentazione in merito... in merito a Portoselvaggio, salvaguardato da lotte svoltesi prima che Renata Fonte fosse a Nardò contro la Dc, che, invece, palesemente, sosteneva l'intervento edilizio (si badi bene non nella pineta), progettato dal proprietario, con nome e cognome, finora non riconosciuto come mafioso o colluso con la mafia. E, se non di Portoselvaggio (cui, tanto per ampliare, si è aggiunta la Palude del Capitano), di quali altre speculazioni si sarebbe trattato? E la mafia, poi, visto che governi cittadini democristiani si sono susseguiti, cosa ha fatto...o forse ancora cosa fa?
E questo deve emergere, ma con fatti concreti non con opinioni e luoghi comuni, che possono diventare di comodo.
Dove sono le registrazioni (forse esiste ancora una, relativa alla seduta di Consiglio Comunale del dicembre 1983, quando i consiglieri comunali del Psi accusarono Renata Fonte di aver tradito il loro patto di abbandono della maggioranza e di essere, invece, tornata a collaborare con la Dc, quella Dc che sarebbe stata «mafiosa» o connivente con speculatori nel campo dell'edilizia)? E dove sono i documenti e dove sono le testimonianze del tempo, che attestano quanto viene proclamato, cui bisogna dar credito per non passare come collusi con la mafia e/o ideologicamente revisionisti?
Questo io chiedevo con il mio precedente intervento.
Io, per primo, sarei felicissimo di essere confutato da un ritrovato e certo filone che porti Renata ad essere stata uccisa per una causa «nobile» (lotta contro la mafia, difesa dell'ambiente e contrasto alla speculazione edilizia) e non per un misfatto «ignobile» (ambizione aberrante di potere).
E lasciamo stare Falcone, che da vivo fu osteggiato nella sua nobile e impareggiabile lotta contro la vera mafia, che lo uccise con i suoi mezzi palesi, da non pochi di quelli che oggi l'osannano.
E lasciamo stare - ti prego, caro Maurizio - dal toccarmi sull'affetto e sulla stima verso Renata, in quanto non si può immaginare quanto siano ancora vivi questi sentimenti in chi l'ha conosciuta come donna entusiasta e legata alla sua famiglia e alla sua Nardò; l'ha vissuta come donna battagliera e le ha voluto bene come donna gioviale e sincera, al pari di me e dei suoi intimi amici, che hanno avuto la fortuna di aver condiviso amicizia leale e disinteressata... purtroppo per poco, molto poco!
Proprio come chi l'ha conosciuta e continua a stimarla e ad amarla, oggi mi permetto di intervenire, nella certezza che Renata avrebbe operato allo stesso modo nella difesa dei fatti e nella ricerca della verità.
Mi dispiace, infine, a livello personale, per lo scolorimento della stima nei miei riguardi. Pensavo, invece, di acquistarne altra, dimostrando che, pur dinanzi all'amicizia, non ho potuto non continuare ad impegnarmi a fare storia con professionalità, come quando insegnavo, nel rispetto dei documenti e rifuggendo dai propri sentimenti, che, anche durante questo mio ulteriore scritto, gorgogliano e mi fanno male, tanto male nel cuore.
Mario Mennonna