DI MAIO NON PIU’ IN TEMPO PER PORTARE A SALVINI IL CAFFELLATTE A LETTO!
L’incredibile ascesa e rovinosa caduta di un leader azzoppato. Italia al buio
Tempo fa alcuni affezionati lettori, incuriositi, mi hanno garbatamente rimproverato del fatto di prendermela così tanto con Di Maio, per quale motivo fossi così severo con lui negli articoli che – riconosco - davvero lo mettevano sulla graticola, a cominciare dal suo “capolavoro”, davvero insuperabile, di chiedere l’impeachment del Presidente della Repubblica Mattarella, come anche con la sbandata di accreditarsi presso i gilet gialli francesi, procurando forti tensioni con la vicina Francia. Lo facevano dal momento che (presumo) considerassero maggiormente degno d’attenzione, per le sue prese di posizione, il leghista Salvini ( quello che “in più giovane età” aveva definito il Sud Il “cancro d’Italia”) rispetto al compìto Di Maio ubriacato del bottino del quasi 34% di voti alle politiche. Richiesta che evidentemente non partiva da lettori salviniani (ora, tanti anche a Nardò).
Ebbene, non avevo particolari qualità divinatorie nel prevedere quello che poi è puntualmente successo. Né miravo a insidiare la leadership in fatto di studio di flussi elettorali di Piepoli o Masìa. Scopriamo da poche ore che si è verificato un crollo su tutta la linea con il primo responsabile – lo diciamo subito per passare poi ad altre cose – proprio Di Maio, davvero inesperto e ingenuo e da considerare ormai fuorigioco (come nel calcio) e dunque, fuori della partita che conta. E’ stata chiamata “Sindrome di Stoccolma” quella di Di Maio verso Salvini; soggiogato, sempre a bocca aperta, impalato di fronte al padano che ora comanda.
E’ davvero incredibile la parabola discendente, ma anche autolesionista di un politico immaturo, benché ciarliero, da non accorgersi (ma, a sua possibile attenuante, anche il gruppo dirigente doveva essere in catalessi), come nel cosiddetto governo gialloverde Salvini si fosse ritagliato i temi che ora intrigano tanti italiani (sicurezza, immigrazione, retorica), lasciando il resto (soprattutto questioni economiche) ai Cinquestelle.
Nessuno (dei Cinquestelle) si permetta ora di dire che si trattava di elezioni europee, perpetuando nell’errore, anche se l’altra considerazione da fare è quella di un’astensione (oltre il 45%) allarmante in ambito interno, sia per la disaffezione generale anche per questo stesso governo, sia sul piano europeo per essere ormai l’Italia considerata una sorta di “pecora nera” da guardare a vista. Gli antieuropei non hanno sfondato nell’Europa che conta e sempre l’Italia si accoda a Polonia e Ungheria. E, comunque, fossero state elezioni politiche, il risultato non sarebbe cambiato (anzi, sarebbe stato peggiore). Dovendo ora registrare che non ci sono vie di fuga per i Cinquestelle se non quella di andare presto all’opposizione e provare, se ci credono, a smascherare la tronfia propaganda salviniana dopo essersene per tanto tempo abbeverati.
Avevano cercato di farlo negli ultimi giorni, sempre Di Maio, senza convinzione. E, infatti, non ci ha creduto e cascato nessuno. Salvini ora vuole tutto e subito, però con questo governo; ha usato anche “parole di incoraggiamento” per il suo Di Maio. Si può chiaramente parlare di “disastro” e sarà difficilissimo (superlativo) comporre, soprattutto rimediare in tempi brevi.
Hanno perso su tutta la linea con questa tiritera “né di destra, né di sinistra” (per significare, alla fine, di essere avvertiti di destra), pensando anche al fatto che lo stesso elettorato si è radicalizzato. Hanno perso voti (tanti) a vantaggio del Pd (da cui li avevano ricevuti) poiché il Pd è più a sinistra di loro; ne hanno persi (tantissimi), a vantaggio della Lega, una destra-destra precisa epperciò più riconoscibile. Insomma gli elettori hanno preferito l’originale.
Detto e non detto dei M5S, questo governo è chiaramente al capolinea con (attenzione!) qualche preoccupazione dello stesso Salvini, per questo suo voto-monstre che potrebbe paradossalmente anche nuocergli e volatilizzarsi in tempi ragionevolmente brevi. Si dice che Salvini giochi con ben tre “forni”: il primo è portare alla massima cottura questo governo, l’altro costituirlo con la Meloni e il terzo con un ritorno nel centrodestra unito. Troppi, evidentemente, anche per Lui, per non rischiare di bruciarsi.
LUIGI NANNI