L’ABBIAMO GIA’ SCAMPATA BELLA COL “PROTOSINCROTRONE” (1967)
C’E’ PERICOLO CHE CAMBINO IDEA?
Un paradosso, ma questa storia infinitamente “nucleare”, dell’”acceleratore” ieri e dei siti oggi, dove piazzare i rifiuti, a distanza di anni ci parla anche dei nostri “buchi neri” (discariche di Castellino e REI) e di una situazione ambientale sempre in allarme
Vogliono a tutti i costi rovinarci la vita. Che lo facciano apposta? Non è bastato né basta lo stillicidio di misure varate per la pandemia, l’assoggettamento anche emotivo per una situazione di grande difficoltà, che ci viene comunicata una notizia di non poco conto. A occhio e croce sarebbe stato bene che ci fosse risparmiata. Averla oggi fatto complica maledettamente le cose, fa impegnare su più fronti le nostre residue energie. Riesce, però, ugualmente a farci fare qualche riflessione. Detto in breve, si tratta della divulgazione ufficiale dei depositi nazionali dei rifiuti radioattivi pubblicata da CNAPI (Carta nazionale delle Aree potenzialmente idonee ), sino ad oggi segreto di Stato. Non si tratta della prima volta, cosa che fa capire come il problema non è stato mai risolto. E, comunque, notizia che ha subito allarmato, poiché tante località anche pugliesi sono venute a sapere di essere state “scelte” come siti adatti ad accogliere rifiuti/scorie radioattivi di bassa e media intensità.
E anche a Nardò a qualcuno sono tornati i brividi nella schiena. E succede ogni volta che si parla di energia nucleare. Chi ricorda il progetto del protosincrotrone alla fine degli anni Sessanta, l’acceleratore di particelle, prodromo dell’impianto nucleare? Se lo contendevano Nardò e Doberdò del Lago, dalle parti di Gorizia. A dire il vero, non si capiva bene cosa fosse e se conveniva averlo, ritenendolo anche pericoloso. Si disse anche che Aldo Moro si fosse interessato della cosa. Non si fecero poi passi avanti. Vecchia storia e affinità che rimbalzarono molti anni dopo quando si venne a sapere che la Sogin, la società che gestisce gli impianti nucleari, dopo lunga preparazione, aveva consegnato all’Ispra (Istituto Superiore per la ricerca Ambientale) la stessa Carta delle aree potenzialmente idonee, individuando proprio nella piana dell’Arneo di Nardò l’area “perfetta” dal punto di vista geologico e geomorfologico per stoccare i rifiuti. Un’idea che era venuta al governo di centrodestra del tempo.
Furono allora Grazia Francescato dei Verdi e la senatrice Psi Maria Rosaria Manieri a lanciare l’allarme. Lo stesso sindaco Antonio Vaglio, storico ambientalista, parlò di iattura.
Acqua passata? Non proprio, e la questione oggi torna in ballo. Il fatto che non si tratti di rifiuti “ad alta intensità”, pesante retaggio delle centrali italiane ormai spente col referendum del 1987 e che aspettano di essere collocate in un deposito europeo, deciso a livello comunitario, non significa che i rifiuti radioattivi di bassa e media intensità, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare e industria, creino sollievo, essendo ugualmente pericolosi. A distanza di minuti dall’annuncio, è scoppiata la bagarre, sono partite le bordate contro chi (sempre il Governo!) non ha consultato i territori, chi ha fatto di testa sua chi, insomma, pensa di imporre misure (quanta analogia con quelle pandemiche!) senza ben spiegare e ancor più non riuscire ad essere convincenti.
E si annunciano venti di guerra, mobilitazioni da parte di quei territori (Puglia e Sardegna in testa) che dicono di aver dato tanto e di più in fatto di servitù militari o qualcosa del genere. Non c’è bisogno di scommettere che questo argomento supererà in “audience” la complicata crisi di governo e le stesse comunicazioni che riguardano il cromatismo delle regioni in tempo di pandemia. E non si vorrebbe che accadessero fatti gravi, vere ribellioni, come quella – ricorderete –di Scanzano Jonico, in provincia di Matera (fatti di 17 anni fa!) contro il decreto del governo Berlusconi per stivare in quell’area, ritenuta “ideale”, un deposito nazionale di scorie mai realizzato in tutta Europa. I rifiuti radioattivi dovevano essere stoccati nei giacimenti sotterranei di salgemma dove, non arrivando l’acqua, sarebbero stati “al sicuro” per millenni. Così spiegarono. Ma, risultò, nessuno studio era stato mai avviato. Strade e autostrade bloccate per settimane, scioperi, manifestazioni di protesta cui parteciparono migliaia di lucani ma anche presenti di altre regioni. Il governo dovette cedere e rinviare, come per tutte le altre volte quando non si riesce a prendere una decisione.
E la notizia serve a Nardò per richiamare la gravità di qualche nostro problema. Apparentemente più piccolo e che non si vede nella campagna elettorale dimezzata. Argomento non dibattuto se non completamente ignorato e, certo, buona carta da giocare. A chi? A buon intenditor, con quel che segue. A costo di annoiare, richiamiamo due delle questioni più spinose che abbiamo abbondantemente trattato. Della discarica di Castellino sappiamo ormai quasi tutto e ci aspettiamo che Emiliano decida ( Mellone lo …consigli) una buona volta di stanziare i soldi per la sua definitiva chiusura. La seconda, clamorosamente poco conosciuta, riguarda l’ex (definitivo?) discarica di amianto REI sempre nella zona di Vignali- Castellino (come si vede, area di “affezione”) al confine dei territori di Nardò e Galatone. Oggi, per fortuna chiusa dalla Procura di Lecce con la motivazione di disperdere nell’ambiente fibre cancerogene e attentare alla salute pubblica; lo stesso rappresentante legale della ditta REI venne iscritto nel registro degli indagati (sull’argomento, segnalo altri due miei articoli di qualche anno fa su Portadimare).
Per poi scoprire (ma bisognava farlo con chi aveva consentito!), che accoglieva rifiuti pericolosi da tutto il Sud Italia. Come era stato possibile? Chiedetelo alla Provincia di Lecce che in ben due fasi ne aveva autorizzato il notevole ampliamento! E, ancor più incredibile, il fatto che la discarica di amianto REI risultasse “la sola autorizzata in Puglia”! in tanti avevano chiesto chiarezza su quella discarica, come il consigliere regionale del Movimento Cinquestelle Cristian Casili, allora vicepresidente della Commissione Ambiente, che ricordava come nella delibera provinciale del 2014 fosse stabilito che “l’amianto doveva arrivare solo dalla provincia di Lecce, di comune accordo con i Comuni di Galatone e Nardò”.
Per poi segnalare che dalle indagini della Procura un quarto degli imballi a protezione del materiale contenente amianto stoccato nella discarica risultassero danneggiati perdendo, quindi, la capacità di isolare le fibre cancerogene di asbesto. E che la stessa Arpa, nel verbale redatto in seguito all’ispezione di controllo avvenuta a novembre e dicembre 2014, rilevò diversi inadempimenti da parte della REI tra cui alcuni “particolarmente gravi”. Sic transit gloria mundi.
LUIGI NANNI