NARDÒ - L’ospedale “Perrino” di Brindisi privo del certificato di prevenzione incendi.
Strano ma vero, ma l’attestazione obbligatoria per legge non solo per attività pubbliche ma anche per quelle private, non sarebbe mai stata rilasciata perché non sarebbe mai stata inoltrata una richiesta ufficiale per conseguirla. E questo non da oggi, ma sin dall’apertura della struttura ospedaliera d’eccellenza del territorio.
Il certificato che garantisce la qualità dei servizi di sicurezza di una struttura viene per prassi richiesta una volta ultimati i lavori e prima della sua apertura. Una volta inoltrata la domanda i Vigili del fuoco svolgono un sopralluogo per accertare tutte le prescrizioni previste dalle norme e rilasciano, se tutto è in regola, il certificato.
Ma pare che sin dalla sua inaugurazione, avvenuta con il rilascio di un certificato temporaneo, nessuno dalla struttura della Asl abbia mai richiesto la certificazione necessaria, ormai obbligatoria anche per qualsiasi attività commerciale, anche la più piccola, sin dal 1982.
Non risulterebbe infatti nessuna richiesta inoltrata da parte dell’ufficio tecnico della Asl. La scoperta è venuta fuori dopo che qualcuno ha portato via la manichetta e la lancia dall’idrante posizionato sulla parete al piano terra, nell’ingresso successivo al quello del Pronto Soccorso. Nonostante la manichetta e la lancia siano state strappate nessuno le ha ancora sostituite. Dalle segnalazione di alcuni cittadini emerge che questo non è l’unico idrante all’interno dell’ospedale sprovvisto degli elementi fondamentali per funzionare.
Così cercando tra i sistemi di sicurezza si scopre che a mancare non sono soli gli idranti, ma anche il certificato prevenzione incendi. Questo non significa che la struttura ospedaliera non sia adeguata o pericolosa o tantomeno le infrastrutture non siano state costruite secondo l’osservanza dei requisiti richiesti dalle prescrizioni di legge, ma solo che manca quel documento che attesta proprio la regolarità del polo d’eccellenza sanitario della provincia.
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno