NELLA NARDO’ DEI 3/4 DI VOTI A MELLONE, “MITRIDATIZZATA”, IL “LAMPO” DEL CONGRESSO PD
Però, congresso in ritardo, elaborato, malinconico, quasi clandestino. Cosa riuscirà a fare Il partito, in un paese “geneticamente modificato”?
Si possono fare mille analisi e congetture, e qualcuna pure accoglierla. In più, concedere le “attenuanti generiche” e qualcos’altro ancora, ma quando al partito manca il “corpo”, tutto ciò significa che la situazione è davvero grave. Non c’è altro da aggiungere. E dicesi “corpo”, in senso fisico e non metaforico, di persone in carne ed ossa che si fa fatica a scorgere. E che, per stare in argomento, poco si sono viste al congresso Pd, celebrato domenica scorsa, dopo due anni di commissariamento.
Recatomi alla sede fissata del Chiostro dei Carmelitani ( povero partito! Si è pure fatto scippare la sede di Piazza Pio XI dove, sulla veranda, c’è ancora la plancia del Pd e sul muro una bacheca; è tempo che qualcuno rimuova tutto, per non dare l’illusione di un qualcosa che non esiste ), un po’ per interesse, ancor più per curiosità, sono rimasto colpito nel vedere la seguente scena: non più di una decina di persone aggirarsi tra sede e dintorni. Se a questa misera entità si sottraevano i due consiglieri comunali e il responsabile inviato dalla Federazione di Lecce, il calcolo diceva di assenza clamorosa, quantomeno, per l’appunto, di persone in carne e ossa. Perché, poi, qualche intervento s’è fatto, i voti ci sono pure stati, ma alla spicciolata, quando per i votanti è stato possibile farlo. In una parola, un tempo non era così!
La considerazione assume un rilievo ancor più importante per quanto normalmente succede “durante” il congresso del partito, segnatamente di un partito di sinistra. In ogni latitudine, questo momento ha sempre suscitato interesse se non, però nelle migliori stagioni, entusiasmo e forte mobilitazione, tanto da doversi recarsi in anticipo sull’ora d’inizio con la speranza di trovare un posto a sedere. Per non stancarsi a causa del lungo dibattito, dei tanti interventi che, in non pochi casi, facevano saltare il pranzo della giornata. Invece, stavolta niente di tutto questo; sedie in abbondanza, ma vuote, lavori congressuali al lumicino e pratiche contorte per l’elezione del segretario. Una delle poche buone notizie: eletto il segretario, nel nome di Maurizio Leuzzi, già assessore al Turismo durante l’amministrazione Risi. Ma, certo, non si parte con le migliori intenzioni se già l’inizio vede l’ostacolo di un ricorso annunciato per detta elezione.
Eppoi, “tecnicamente” parlando, non si può fare un tale congresso, da apparire “carbonaro”. Non un manifesto, non un sms inviato a un elenco (volendo, anche nutrito) di persone che pure potevano essere sollecitate:
1) quelle che un tempo sono state iscritte, e che ora non lo sono;
2) quelle simpatizzanti, che potrebbero un giorno iscriversi;
3) quelle interessate alla politica e che qualcosa potrebbero dare;
4) quelle appartenenti al mondo del lavoro e della scuola non fosse altro per parlare delle ripetute gaffes in materia fatte da questo governo.
Insomma, un Pd che “non bussa alla porta”, sopraffatto alle ultime comunali, ed è senz’altro un bel dire, per richiamare le parole del neosegretario provinciale Luciano Marrocco : “Ristabiliamo una connessione con chi si è allontanato da noi”. Soltanto che è difficile scrivere la nuova ricetta, se si tratta di considerare (ancora Nardò!) quanto e in che misura la destra ha occupato “militarmente” la città e l’intero suo territorio. Ci vorrà una bella intelligenza per disarticolare un grumo di potere che ha sfondato le linee nemiche.
C’è anche da dire che il periodo è nerissimo. Tra governo centrale letteralmente regalato da Enrico Letta alla Meloni (l’incredibile errore del segretario Pd, nemmeno assistito dai suoi, a non capire la tecnica elettorale, perdendo quasi tutto all’uninominale, sicchè è successo che col 25% dei voti, Meloni di Fratelli d’Italia è parsa, purtroppo, ora è realtà, aver preso in armi l’Italia), ed elezioni regionali con la batosta della Lombardia (ampiamente prevista) e Lazio (altri errori nella conduzione generale della coalizione), il quadro è deprimente soprattutto per la sinistra e quel che di essa è rimasto. Né si può chiamare in causa l’alibi della fortissima astensione (tra il 60 e 70%), che semmai chiama la sinistra a un surplus di elaborazione. Com’ è potuto succedere che si siano persi tanti voti, tante amministrazioni, che non si riesca a imbastire un programma, che tanta gente si sia ormai rinchiusa in casa e non ne vuole più sapere?
Ovviamente non tutto è così! E si tratta delle stesse tesi circolate nei vari congressi. A cominciare dall’assenza della cosiddetta “offerta politica”; uno dei tanti motivi per i quali si disertano le urne. Con la conseguenza dello svuotamento della politica che conduce all’emergenza democratica, alla fuga dalle relazioni, a una forma politica che non si capisce a cosa possa servire.
E’ certo, comunque, che in questo contesto, un’opposizione sfilacciata non possa aspirare ad avere un ruolo egemone per la costruzione di una società dove il lavoro è diritto e dignità, l’ambiente che richiede interventi immediati. Detto in breve, in una società libera “dove sia bello vivere ”.Di qui il tema dell’alleanza delle forze democratiche e progressiste, ancorate a un programma ben visibile, praticabile, accessibile ai più, in cui sentirsi pienamente coinvolti, protagonisti del cambiamento.
E, invece, cosa succede? Detto del Pd e di tutti gli errori possibili commessi, ma pur sempre una grande forza democratica del Paese, destano forti perplessità i vari protagonismi “d’annata” portati avanti con egoismo e con l’imprimatur del personalismo. E’ il caso del “Terzo Polo” Calenda-Renzi che è fallito alla prova dei fatti e allo stesso Conte che, soprattutto con le ultime elezioni regionali, rischia di perdere una parte della credibilità innanzi acquisita (compreso quel “distinguo”, comunque interessante, sulla guerra ucraina; concetto sostanziato nel fatto di non affidare tutto alle armi).
Rispolverando un modo di dire, oggi il Pd (unitamente ad altre forze di opposizione) è solo incudine e il governo è martello, rinfrancato, per l’appunto, dalle stesse elezioni regionali. Governo destinato a durare ammenochè esso stesso non imploda per divisioni interne. Cosa che non pare esserci all’orizzonte, se di fronte ai disastri combinati nei cosiddetti cento giorni, non solo non hanno perso voti, ma li hanno persino aumentati.
Una serie di errori che non hanno preoccupato la Meloni. Questi, solo alcuni, nell’ordine:
1) Decreto “rave”, una figuraccia su tutta la linea, tanto da annacquarlo e non renderlo praticabile; nessuno più ne parla;
2) le “uscite” sconsiderate del ministro Piantedosi sui migranti (“direttive” alle Ong) e per giunta sballottati di qua e di là;
3) Il mondo intero ha riso quando il ministro della Cultura Sangiuliano ha accostato Dante Alighieri alla sua destra di governo;
4) curiosissime posizioni del ministro della Pubblica Istruzione Valditara; uno che vuole punire tutti gli studenti e togliergli il cellulare;
5) Ignazio La Russa che non ne azzecca una e spolvera ogni giorno il busto di Mussolini che ha sul tavolo di lavoro;
6) pasticcio sulle accise, prima cancellate da Draghi e riammesse da Meloni, salvo poi prendersela con i benzinai, assurdamente accusati di brogli. Gli stessi benzinai indotti a scioperare tanto da indurli a proclamare lo sciopero nazionale di categoria;
7) goffa pressione del governo per farlo revocare; poi, da due giorni a uno. Non s’è capito granchè;
8) ministro della Giustizia Nordio: basta dire che anche analisti stranieri s’interessano di lui; lo giudicano non idoneo e per spiegarlo scrivono un libro.
9) Su tutto una insulsa manovra finanziaria che l’avrebbe criticata anche mia nonna (se viva): i ricchi restano ricchi, i poveri che non rompano le scatole. Questo il succo.
E allora? Dopo tutto questo disastro di governo, uno pensa che qualche contraccolpo la destra avrebbe dovuto già averlo. E, invece? Il Paese in ambasce e mezzo cotto (welfare giù, lavoro giù, sanità al collasso, autonomia differenziata da bocciare) non va nemmeno a votare. E, se vota, vota quelli del governo. Questo deve capire il nuovo segretario nazionale del Pd! Chiunque esso/a sarà! E sia come sia, (di ritorno a Nardò) andiamo in tanti a votare alle primarie domenica 26 febbraio. E facciamolo sapere, con tutti i mezzi possibili e, non dimenticate, di far affiggere qualche … manifesto in città.
LUIGI NANNI